25 novembre: le scarpette rosse non servono a nulla
- 26 Novembre 2022
Il 25 novembre e le sue scarpette rosse non servono a nulla se non impariamo a usare le parole giuste per raccontare i femminicidi.

Quest’anno le donne ammazzate sono state 104. Una ogni 72 ore. Di queste vittime di femminicidio 52 sono state uccide per mano di un partner o di un ex.
Dai dati dell’anno scorso emerge che solo il 15% delle donne vittime di violenza hanno il coraggio di denunciare.
Perché così tante donne, vittime della stessa storia, hanno preferito tacere?
Non possono più dircelo.
Così, ho provato a immaginarlo.
Un mondo dove al posto delle scarpette rosse ci sono le parole giuste
Se fossi protagonista di una narrazione che mi descrive come “bella e impossibile” o come una “che esaspera”, e in cui da vittima divento quasi complice dell’atto più mostruoso e vile… parlerei?
Se il mio carnefice fosse descritto come “il classico bravo ragazzo” o ricordato come “il padre premuroso”, o “il gigante buono”… chi crederebbe alle mie accuse? Accusare un bravo ragazzo o un padre premuroso? Figuriamoci poi, il gigante buono.
Se i gesti di questi uomini, le loro percosse, la loro ossessione è chiamata amore, non importa se “malato” o se è “troppo”…
Come potrei andare a denunciare l’amore?
“Ama e fa’ ciò che vuoi”, lo diceva Sant’Agostino.
Fino a quando non cambieremo le parole con cui descriviamo questi femminicidi, rifiutando per nostro retaggio patriarcale di chiamare le cose con il loro nome, il 25 novembre sarà sempre e solo un giorno come un altro, con qualche post confezionato per l’occasione, qualche manifestazione, qualche scarpetta rossa per ricordare donne che avrebbero potuto vivere e invece sono morte due volte.
La prima per mano del loro assassino, la seconda per mano di chi ha cercato di trasformare la loro drammatica storia in una favola finita male o in un’altra storia, quella che cambia se raccontata con le parole sbagliate.